15.3.13

«Per molti argentini è stato complice»

Horacio Verbitsky*  (Il Manifesto)

Delle centinaia di chiamate ed email che ho ricevuto, ne scelgo una sola. «Non riesco a crederci. Sono così angustiata e carica di rabbia che non so che cosa fare. Ha ottenuto ciò che voleva. Mi sembra di vedere Orlando nel salotto di casa nostra, qualche anno fa, che diceva: 'Lui vuole essere Papa'. È la persona più adatta a nascondere il marcio. Lui è un esperto in insabbiamenti. Il mio telefono non smette di suonare, Fito mi ha chiamato in lacrime». La firma è quella di Graciela Yorio, sorella del sacerdote Orlando Yorio, che denunciò Bergoglio come responsabile del suo sequestro e delle torture che ha subito per 5 mesi nell'anno 1976. Il Fito di cui parla. e che l'ha chiamata sconsolato, è Adolfo Yorio, suo fratello. Entrambi hanno dedicato buona parte della loro vita a portare avanti le denunce fatte da Orlando, un teologo e sacerdote terzomondista, morto nel 2000 con l'incubo che ieri è divenuto realtà. Tre anni prima, il suo mostro era stato eletto arcivescovo di Buenos Aires, un avvenimento che preannunciava il resto.
Orlando Yorio non ha mai avuto modo di sentire la deposizione di Bergoglio davanti al Tribunale Orale Federale n. 5. Quella fu la prima volta in cui riconobbe che, dopo la fine della dittatura, seppe che i militari rapivano i bambini. Tuttavia, il Tribunale Orale Federale n. 6, in cui si è svolto il processo per il programma sistematico di sequestro dei figli dei prigionieri-desaparecidos, ha ricevuto documenti in cui si indica che già nell'anno 1979 Bergoglio era perfettamente al corrente della situazione, non solo, ma che addirittura intervenne personalmente, eseguendo un ordine del suo superiore generale, Pedro Arrupe.
Dopo aver ascoltato il racconto dei familiari di Elena de la Cuadra, sequestrata nel 1977, quando si trovava al quinto mese di gravidanza, Bergoglio consegnò loro una lettera per il vescovo ausiliare di La Plata, Mario Picchi, chiedendogli di intercedere davanti al governo militare. Picchi riuscì a scoprire che Elena aveva messo al mondo una bambina, poi regalata a un'altra famiglia.
«Ce l'ha una coppia per bene e non c'è modo di tornare indietro», disse alla famiglia. Dichiarando per iscritto nella causa dell'Esma (la Scuola di Meccanica della Marina), per il sequestro di Yorio e di Franscisco Jalics, che era gesuita come lui, Bergoglio disse che nell'archivio episcopale non c'erano documenti sui desaparecidos.
Tuttavia, il suo successore e attuale presidente della Conferenza episcopale, Josè Arancedo, inviò alla giudice Martina Forns una copia del documento che io stesso ho pubblicato, sulla riunione avvenuta tra il dittatore Videla e i vescovi Raul Primatesta, Juan Aramburu y Vicente Zazpe, in cui parlarono in modo straordinariamente franco del fatto che fosse conveniente o no dire che i desaparecidos erano stati uccisi, perché Videla voleva proteggere chi li aveva assassinati.
Nel suo libro ormai divenuto un classico, Iglesia y dictadura (Chiesa e dittatura), Emilio Miglione citò l'episodio come un paradigma di «pastori che consegnano le loro pecore al nemico, senza difenderle o tentare di recuperarle». Bergoglio mi ha raccontato che, in una delle sue prime messe come arcivescovo, riconobbe Mignone e tentò di raggiungerlo per dargli delle spiegazioni, ma che il presidente e fondatore del Cels alzò la mano facendogli segno di non avvicinarsi.
Non sono sicuro che Bergoglio sia stato eletto per nascondere il marcio che ha ridotto all'impotenza Joseph Ratzinger. Le lotte interne alla curia romana seguono una logica cosi imperscrutabile che i fatti più oscuri possono essere attribuiti allo spirito santo, sia che si tratti delle gestioni finanziarie per cui la Banca Vaticana è stata espulsa dal clearing internazionale, visto che non rispetta le regole anti-riciclaggio di denaro sporco, o le pratiche di pedofilia, in quasi tutti i paesi del mondo, che Ratzinger ha insabbiato attraverso il Santo Uffizio e per le quali ha chiesto perdono come Papa. Nemmeno mi sorprenderebbe che, con il pennello in mano e con le scarpe rotte, Bergoglio iniziasse una crociata moralizzante per imbiancare i sepolcri apostolici.
Quello di cui invece sono sicuro è che il nuovo vescovo di Roma sarà un ersatz, una parola tedesca che è impossibile tradurre e che significa un surrogato di qualità minore, come l'acqua mescolata con la farina che le madri povere usano per ingannare la fame dei loro figli. Il teologo della liberazione brasiliano, Leonardo Boff, allontanato da Ratzinger dall'insegnamento e dal sacerdozio, aveva il sogno che a essere eletto Papa fosse il francescano di origine irlandese Sean O'Malley, responsabile della diocesi di Boston, arrivata al fallimento per i tanti indennizzi che ha pagato ai bambini vessati dai suoi sacerdoti.
«È una persona molto legata ai poveri, perché ha lavorato a lungo in America Latina e ai Caraibi, sempre in mezzo agli indigenti. Questo significa che potrebbe essere un papa diverso, un papa che inizi una nuova tradizione», ha scritto l'ex sacerdote. Sul Trono Apostolico non siederà un vero francescano, ma un gesuita che si farà chiamare Francesco, come il poverello di Assisi. Un'amica argentina mi scrive turbata da Berlino, perché secondo i tedeschi, che non conoscono il suo passato, il nuovo papa è un terzomondista. Che grande confusione.
La sua biografia è quella di un populista conservatore, come lo sono stati Pio XII e Giovanni Paolo II: inflessibili su questioni dottrinali, ma con una certa apertura nei confronti del mondo, soprattutto, verso le masse povere. Quando recita la prima messa in una via di Trastevere o nella stazione Termini a Roma e parla di persone sfruttate e prostituite dagli insensibili potenti che chiudono il loro cuore a Cristo; quando i giornalisti amici raccontano che ha viaggiato in metropolitana o in autobus; quando i fedeli sentono le sue omelie recitate coi gesti di un attore, dove le parabole bibliche coesistono con il parlar franco del popolo, ci sarà chi delirerà per il tanto desiderato rinnovamento della Chiesa. Nei tre lustri che ha trascorso alla testa dell'Arcidiocesi di Buenos Aires ha fatto questo e altro. Ma al tempo stesso ha tentato di unire l'opposizione contro il primo governo che, dopo molti anni, ha adottato una politica favorevole ai settori meno abbienti. Addirittura lo ha accusato di essere aggressivo e di cercare provocazioni, perché per farlo è dovuto scendere a patti con quei potenti attaccati nel discorso.
Adesso potrà farlo su scala più grande, ma non significa che si dimenticherà dell'Argentina. Se Pacelli ricevette il finanziamento dell'Intelligence Usa per sostenere la Democrazia Cristiana e impedire la vittoria comunista nelle prime elezioni del Dopoguerra e se Wojtyla è stato l'ariete capace di aprire il primo buco nel muro europeo, allora il Papa argentino potrà svolgere lo stesso ruolo su scala latinoamericana. La sua passata militanza nella Guardia de Hierro, il discorso populista che non ha dimenticato e con cui addirittura ha abbracciato cause storiche come quella delle Malvinas, gli permetteranno di imporre la direzione a questo processo, per apostrofare gli sfruttatori e predicare la bontà degli sfruttati.

*Per gentile concessione del quotidiano argentino Pagina12.
L'autore, Horacio Verbitsky, è giornalista, scrittore e intellettuale, responsabile della sezione americana di Human Rights Watch. Nel 2005 ha scritto «L'isola del silenzio. Il ruolo della Chiesa nella dittatura argentina», nel quale ha raccolto le testimonianze di sopravvissuti e parenti dei desaparecidos. Nel 1995 aveva già pubblicato «Il Volo - Le rivelazioni di un militare pentito sulla fine dei desaparecidos».

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